Da Fava a Dalmonte, allenatori nel mirino

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6 dicembre 2011

Luca Dalmonte

Luca Dalmonte

di Luciano Murgia

PESARO – Mi hanno molto colpito le parole di un amico che segue il basket, anzi la pallacanestro, da mezzo secolo, più o meno come me, e che ne ha viste di tutti i colori.

“Luciano, perché ti ostini a difendere un allenatore, Dalmonte, scaricato dalla squadra? Il messaggio arrivato da Teramo è inequivocabile: il gruppo non crede più nel suo allenatore, forse è più corretto dire nel suo sistema. Se Daniel Hackett, l’emblema, il cuore della Scavolini Siviglia, si nota più per le brutte facce che per le azioni positive, è evidente che qualcosa non va!”.

Onestamente ho difficoltà a contestare l’opinione del mio amico, se non in un aspetto che mi sta a cuore: il principio che in tanti anni di professione ho conosciuto solo un allenatore che mi ha dato l’impressione di volere perdere una partita. Attenzione: l’impressione, la sensazione, non la certezza. Non conosco un solo allenatore – e sulla panchina della Victoria Libertas ne sono passati tanti – che abbia lavorato per perdere.

Sono ancorato al ricordo di un grande, di un grandissimo che mi ha offerto la sua amicizia e sarà sempre nel mio cuore: Agide Fava. L’inventore della scuola pesarese, l’uomo che regalò le prime soddisfazioni alla città, e che fece innamorare i pesaresi di uno sport bellissimo, rimase sulla panchina della Vuelle per vent’anni, dal 1946 al 1966. Eppure anche lui subì le contestazioni dei concittadini. Ne ho scritto nel mio libro “Dietro i canestri”, che racconta un po’ della storia della Victoria Libertas, in un capitolo intitolato, non a caso, “Mangiallenatori”, di cui mi permetto di proporre un breve estratto.

 

Agide Fava, maestro di sport e di comportamento, fece i conti con l’indole tutta pesarese di “mangiallenatori”. “Ero allenatore-giocatore. Fui attaccato per i cambi. Per questo, rispetto il lavoro dei giovani colleghi”. La notte del 19 maggio 1988, travolto dall’incontenibile felicità di una Pesaro impazzita di gioia, Bianchini lo ringrazia. “Oggi raccolgo, anzi raccogliamo, quanto Fava ha seminato…”. Bianchini è il miglior testimone di questa contraddizione. Avanti di ventidue punti, soffre la rimonta della Tracer, tornata a meno tre. In quei momenti difficili, dalla tribuna, un urlo. “Valerio, ci fai perdere lo scudetto!”. La storia del rapporto complicato con gli allenatori inaugurata da Fava proseguirà in eterno.

 

Proprio così. E’ questa la storia della pallacanestro pesarese, non mi stupisce quello che accade oggi, la raccolta di firme contro l’allenatore. Accadde anche allora, nel 1987/88, l’anno del primo scudetto, quando Bianchini, pure contestato anche a pochi minuti dal coronamento di un sogno, ebbe contro tutta la città tagliando Aleksandar Petrovic, il mitico Aza per i tifosi italiani, semplicemente Aco per chi vive oltre Adriatico.

La cronaca di allora racconta che due soli giornalisti si schierarono con Bianchini: chi scrive e Pierpaolo Rivalta, allora responsabile del basket per le pagine locali del Messaggero, oggi alla Rai. Non mancarono gli insulti (succede anche oggi), addirittura le minacce (al momento, no).

Ho ricordato tutto questo al mio amico, aggiungendo che non un solo allenatore ha evitato la contestazione. Qualche settimana fa, intervistato da PU24, Giorgio Secondini, pesarese che guardando la tribuna conosceva tutti i presenti, uno a uno, raccontava di essersi rivolto così a un contestatore: “Vieni tu al mio posto!”.

E Scariolo, che pure vinse il secondo scudetto, non è lo stesso che prese i pomodori a Parigi dopo avere rischiato di prenderli l’anno prima al PalaEur di Roma? E Rinaldi, e Marchionetti, e McGregor, e Toth, e Bertini, e Pillastrini, e Caja, e Sacco, e Crespi? Tutti finiti nel mirino del “loggione”, che come nei grandi teatri d’opera ritiene di capirne più del direttore, di essere più bravo del regista, di cantare meglio del tenore.

Pero Skansi non fu solo contestato e – come dimostra la storia del basket pesarese – ci sta: i figli, in tenera età, venivano insultati all’uscita della scuola da maturi padri di famiglia.

Frutto, magari anche colpa, di una passione infinita, perché Pesaro è città del basket che non si concede mezze misure.

Attenzione, però, ho detto al mio amico, oggi i tempi sono cambiati, la crisi economica, a dispetto delle menzogne raccontateci per anni dal Signore di Arcore, duca di Villa Certosa, è evidente. E se chi mette i propri soldi nel basket per fare divertire una città, o almeno i tifosi, si stancasse? Cosa succederebbe? Non si corre il rischio di rompere il giocattolo, di ritornare a ben miseri livelli, quando la stagione – malgrado le due recenti sconfitte, evitabili, evitabilissime (come ha dimostrato Biella), soprattutto nelle proporzioni – è ancora tutta da giocare?

Ho ribadito al mio amico: sono convinto che non possa essere solo colpa, tutta colpa di Dalmonte. Mi ha risposto – oggettivamente con buon senso – che potrebbe essere il suo sistema a non andare d’accordo con i giocatori che ha a disposizione.

Ora, non si offendano gli altri, che conosco poco, ma su gente come Cavaliero, Flamini e Hackett, sulla loro lealtà, sono disposto a scommettere. Se qualcosa non va, perché non ne parlano, fra loro e con il coach, non con i giornalisti, all’interno dello spogliatoio, per vedere come uscire da un momento così delicato?

Dieci giorni fa, prima della partita con Avellino, in troppi facevano i conti ipotizzando i biancorossi in vetta alla classifica la sera del 18 dicembre, quando Siena riposerà. Oggi si scarica letame. E se per una volta fosse possibile una mezza misura. Poi, se le cose dovessero precipitare, sarà compito della società decidere. Evidentemente, però, non è solo chi scrive a pensarla così: basta leggere l’intervista che Valter Scavolini ha concesso oggi a Elisabetta Ferri per il Resto del Carlino.

Mi piacerebbe che molti leggessero – anche nel sito on line de La Repubblica – l’articolo che Stefano Valenti ha dedicato alla situazione – davvero difficile – della Pepsi Caserta, giudicata la squadra sorpresa della serie A. Dunque, controllando meglio, notiamo che: 1) La Scavolini Siviglia ha vinto a Caserta giocando una grande partita. Se il sistema Dalmonte non va bene ai giocatori, perché hanno vinto a Caserta e Cantù e sconfitto Milano? 2) La Pepsi ha 10 punti, la Scavolini Siviglia 8. 3) Il presidente della Pepsi, Francesco Gervasio, esalta la bravura di Pino Sacripanti. E’ lo stesso contestato, insultato, deriso a Pesaro, ma anche – lo scorso anno – a Caserta, quando l’allora presidente Caputo lo invitò a presentare le dimissioni dopo il ko casalingo con la Vuelle. In futuro potrebbe accadere anche con Dalmonte. 4) Caserta è in difficoltà, le manca un milione di euro per finire la stagione e già il 18 dicembre, nella partita casalinga con Teramo, la società organizzerà la Giornata Bianconera: pagheranno tutti, anche gli abbonati. La Scavolini Siviglia, invece, la partita in più, imposta dalla promozione per vie legali dell’Umana Venezia, l’ha offerta ai suoi tifosi più affezionati.

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