Pesaro-Australia: Francesco, “diversamente” immigrato

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27 febbraio 2012

PESARO – C’è Megan Gale ma, ovviamente, non sono tutte così. Dimenticatevi, se non lo avete ancora fatto, pure di Mr Crocodile Dundee. Roba vecchia. E pazienza se Bobo Vieri, infondo, lì ci ha vissuto parecchio da bambino. L’Australia è diversa. E’ cambiata. Non è solo questa. L’Australia, quella che molti dipingono come l’unica vera terra rimasta incolume da crisi, spread, default e brutta compagnia che sta picchiando duro Europa e America (e presto, dicono, pure la Cina), rappresenta però ancora oggi la meta lavorativa (e non) preferita degli italiani. Vuoi perché la globalizzazione, soprattutto con i suoi eccessi negativi dal punto di vista economico, è stata anestetizzata dalle grandi distanze che la separano dal resto del mondo. E vuoi, anche, perché gli australiani, in barba all’immaginario comune che li vede sempre in bermuda, con la tavola da surf, tra canguri e aborigeni, negli anni hanno calibrato una serie di misure anti-decadenza e all’insegna del buon senso. Tradotto: lavoro retribuito regolarmente, con stipendi che non rasentano il suolo (e che non sono infinitamente offensivi, come avviene in Italia, rispetto agli introiti milionari dei manager) e che vedono le varie figure professionali valutate con sobrietà, coerenza  e possibilità di fare carriera. Senza regali. Solo con vera equità.

 

Francesco Merlino

Francesco Merlino davanti all'Opera House di Sidney

Francesco Merlino, 28 anni, origini pesaresi, una casa di famiglia nella zona porto, parentado di una certa rilevanza nella città di Rossini, nell’emisfero australe ci vive dall’anno scorso dopo aver terminato gli studi nella città in cui ha vissuto buona parte della sua vita: Firenze. L’abbiamo intervistato per capire come si sta dall’altra parte del mondo, come si lavora (se si lavora) e quanto si guadagna, come sono considerati gli italiani, come ci si sente a 40 ore di volo da casa, come se la cava una ragazzo di vent’anni lontano dall’Italia, dagli amici, dagli affetti che un giorno decide di mollare il Belpaese e giocarsi la carta dell’emigrante. Insomma, abbiamo cercato di capire se il gioco vale la candela.

“A dire il vero – racconta – la ricerca del lavoro non è stata la principale motivazione che mi ha spinto a partire. In realtà avevo l’esigenza di vedere qualcosa di nuovo, di scoprire un altro modo di vivere rispetto al modus vivendi italiano ed europeo in generale. Devo ammettere tuttavia che l’idea che qui fosse piu facile, anche dal punto di vista lavorativo, ha avuto la sua importanza. Infatti, per un neolaureato il mercato del lavoro italiano sembra una “roccaforte” espugnabile unicamente a suon di raccomandazioni e che le posizione lavorative di un certo livello siano destinate ad una ristretta cerchia di persone”.

Francesco continua: “In Italia si ha come la sensazione che essere bravi e capaci non basti più, che costruirsi un futuro, fatto anche di semplici cose come casa, macchina e famiglia sia ormai un lusso che solo pochi si possono permettere”.

L’Australia, però, non è così free, ospitale e aperta come si potrebbe pensare. 

“Arrivando qui, in Australia, si capisce quasi fin da subito che “non è tutto oro quello che luccica”. L’Australia è un paese facile sì, ma per coloro che ci vivono già, che hanno un passaporto australiano. Per l’immigrato la strada è comunque in salita”.

In che senso?

“L’Australia è un Paese che prima prende e poi dà. Se vuoi far parte di questa comunità beneficiando di quello che ha da offrire (ed ha da offrire tanto) devi prima dare qualcosa in cambio e cominciare dal basso. Io mi sono ritrovato, con una laurea in economia aziendale presa a pieni voti, a fare il lavapiatti ed altri lavori che in Italia vengono fatti per lo più da immigrati. E qui la faccenda non è diversa. Gli australiani doc non si abbassano piu a fare certi lavori esattamente come la maggior parte degli italiani non si alza più alle tre del mattino per fare il pane. Il governo australiano ha varato una serie di leggi per incanalare il flusso migratorio verso quelle attività che più gli interessano e di cui il paese ha più bisogno”.

Come?

“Il rilascio di un visto permanente è subordinato infatti al possesso da parte dell’immigrato di una serie di caratteristiche come l’età, istruzione, conoscenza dell’inglese, area di permanenza nel territorio australiano, in assenza delle quali il paese ritiene di non aver bisogno di te e che dunque te ne devi tornare a casa. L’Autralia non è più dunque la terra dei canguri, non è l’Australia di 30/40 anni fa in cui le porte erano spalancate pressoché a tutti”.

Anche la sconfinata Australia, così distante da Europa e America, si sta quindi chiudendo?

“L’Australia è un Paese moderno in cui gli spazi si stanno a poco a poco chiudendo, o meglio li stanno chiudendo visto che di spazio ce ne sarebbe tanto, ed in cui, se si vuol rimanere, salvo rare eccezioni, bisogna lottare con caparbietà, adattarsi, essere flessibili, essere disposti a fare la gavetta anche più di quanto non faremmo nel nostro Paese, oppure si è già ricchi e quindi non si hanno problemi perché pagando un modo per restare lo si trova sempre! La principale differenza con l’Italia, però, sta nel fatto che, una volta finita la gavetta, se non si è mollato prima, si può davvero beneficiare di un sistema meritocratico, di un sistema che premia l’impegno, la bravura e la serietà. Di un sistema lavorativo che remunera adeguatamente anche lavori di fascia bassa”.

Quanto si guadagna, per esempio, in Australia?

“Una commessa, il lavapiatti piuttosto che il cameriere, riescono a prendere uno stipendio di 700 dollari alla settimana, circa 2800 dollari al mese, ovvero 2000 euro, con la possibilità, nel tempo, di fare comunque carriera. Inoltre il tasso di disoccupazione è pressoché inesistente. In Australia i disoccupati sono coloro che non hanno voglia di lavorare. Detto questo, bisogna anche dire che le persone qui sono più flessibili, disposti a cambiare lavoro, casa e città”.

Come vive la comunità italiana in Australia?

“L’Australia è piena di italiani, che rappresentano il secondo gruppo più numeroso dopo gli inglesi. Gli italiani che sono qui sono tuttavia quelli arrivati negli anni ’50 e i loro figli, la seconda generazione, oppure ragazzi fino ai 30 anni che vengono in Australia con un working holiday visa e che ripartono dopo un anno o due. Sinceramente i casi di italiani che partono e che poi decidono di restare non sono tantissimi e questo per tutta una serie di motivi”.

Quali sono questi motivi?

“In primis, come ho gia detto, l’Australia non è, soprattutto all’inizio, il paradiso che tutti si aspettano. Molti, dunque, passati i primi tempi si scoraggiano e se ne tornano a casa. Poi perché l’Italia è sempre l’Italia. Non è un caso che venga chiamato “il bel paese” perché davvero lo è; e come se ne viene fuori ci si accorge di cose, piccole e grandi, che avendole sotto gli occhi tutti i giorni, diamo per scontato. A molti l’Australia serve proprio per rendersi conto di quanto siamo fortunati a vivere comunque dove viviamo, a capire la bellezza del nostro Paese, della nostra cultura, dei nostro modo di essere. E così si ritorna in patria con una consapevolezza diversa e con un rinnovato amore per la nostra terra. Quelli che rimangono sono quelli che ce la fanno e per farcela intendo dire che riescono a raggiungere un tenore di vita migliore di quello che avevano in Italia. Molte persone non si accontentano nemmeno di questo perché il prezzo da pagare è fare lavori comunque lontani dal proprio percorso di studi od esperienza lavorativa”.

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