di Redazione
3 maggio 2012
PESARO – Il Lisippo deve tornare in Italia. Il gip di Pesaro Maurizio Di Palma ha respinto il ricorso del Museo Getty contro la confisca della statua dell’Atleta di Lisippo, ripescata al largo di Fano nell’ormai lontano 14 agosto 1964.
La confisca, disposta nel febbraio 2010 dal gip Lorena Mussoni, aveva stabilito che l’esportazione del bronzo era illegale, considerando il Lisippo “patrimonio indisponibile dello Stato”.
“La vittoria di Davide contro Golia” ha commentato Alberto Berardi, dell’associazione Cento Città che ha riaperto il caso. Il pronunciamento del Gip Di Palma riapre la strada per una rogatoria internazionale che riporti l’opera in Italia.
L’ATLETA DI FANO
Come riporta l’enciclopedia online Wikipedia, L’Atleta di Fano, detto anche Atleta vittorioso, Atleta che si incorona o Lisippo di Fano, conosciuto negli Stati Uniti anche come Victorious Youth (Giovane Vittorioso) o Getty Bronze, è una scultura bronzea risalente al periodo ellenistico realizzata dallo scultore greco Lisippo. Le dimensioni sono in altezza 151,5 centimetri, 70 in larghezza e 28 in profondità. Quindi le dimensioni erano proporzionate al vero. Il peso è di 50 chili circa.
La statua è stata realizzata con la tecnica della fusione a cera persa, cioè con un modello positivo cavo in cera a perdere, su cui veniva appoggiata la terra da fonderia che creava il negativo, all’atto della colata la cera evapora per l’alta temperatura del metallo e lascia spazio a questo. Questa tecnica permetteva un’ottima modellabilità e la possibilità di rifinire minuziosamente i particolari, oltre che di ottenere superfici accuratamente levigate. Con questa tecnica non si poteva ottenere la statua in un’unica colata ma le varie parti, come tronco, testa, braccia e gambe, venivano realizzate separatamente e solo successivamente unite per saldatura.
Allo stato attuale delle conoscenze è comunemente accettata la datazione tra la fine del quarto e il secondo secolo avanti Cristo. Questo elemento cronologico e soprattutto considerazioni di tipo stilistico hanno portato la statua ad essere attribuita allo scultore greco Lisippo. Già nella sua prima ispezione Bernard Ashmole e altri studiosi l’attribuirono a Lisippo, grande nome della storia dell’arte greca. Il metodo attuale considera meno importante l’attribuzione tradizionale dell’opera rispetto al contesto sociale in cui è stata concepita: il luogo dove è stata modellata, per quale scopo e chi doveva rappresentare.
L’ipotesi più accreditata è che la statua sia naufragata nel medio Adriatico insieme alla nave che la stava trasportando dalla Grecia verso la penisola italiana, probabilmente puntava al porto di Ancona.
Essa fu rinvenuta venerdì 14 agosto 1964 nel mare Adriatico al largo di Fano, catturata dalle reti del peschereccio italiano “Ferruccio Ferri”. Il luogo del ritrovamento del bronzo, a sentire le testimonianze dei pescatori è una zona del mar Adriatico chiamata “Scogli di Pedaso” ma questo non è stato noto con sicurezza per molti anni, e in particolare si è molto discusso se l’oggetto fosse stato ritrovato in acque italiane o internazionali. Comunque sia l’esportazione è stata illegale secondo le leggi dell’epoca, in particolare la legge 1089/39, che stabilisce che i beni archeologici ritrovati sono di proprietà dello Stato italiano. Infatti nel primo caso il reperto apparterrebbe allo Stato italiano, nel secondo caso essendo l’Atleta issato su una imbarcazione battente bandiera italiana e successivamente sbarcato a Fano, in Italia, sarebbe dovuto ricadere sotto la legislazione italiana che impedisce l’esportazione di opere archeologiche e avrebbe dovuto essere soggetto all’obbligo di notifica al ministero competente (in questo caso il Ministero dei Beni Culturali).
Sul motopesca italiano si trovavano il capobarca Romeo Pirani, i tre marinai Derno Ferri (motorista), Athos Rosato (murea) e Durante Romagnoli (marò) e inoltre Valentino Caprara, Nello Ragaini e Benito Burasca. L’armatrice era la signora Valentina Magi. La rete si è impigliata nelle braccia della statua che è stata sollevata dal fondo del mare, probabilmente i piedi, verosimilmente incastrati o insabbiati, si sono staccati in quest’occasione per lo strattone ricevuto.
Successivamente la statua è stata trasportata su un carretto e riposta in un sottoscala nella casa della proprietaria della barca Valentina Magi, nei giorni successivi molte persone poterono vederla, così i pescatori preoccupati che la voce si spargesse e di un eventuale ispezione della Guardia di Finanza, chiesero e ottennero di nascondere la statua, sotterrandola in un campo coltivato a cavoli di proprietà di Dario Felici, un loro amico.
Lo stesso Berardi racconta che al momento del dissotterramento delle statua dal campo di cavoli si staccò un concrezione che fu regalata a Elio Celesti, professionista e politico fanese, il quale, su segnalazione di Berardi, la consegnò al procuratore della Repubblica di Pesaro, Savoldelli Pedrocchi. Le analisi di questa concrezione hanno dimostrato che è stata a contatto con una lega metallica di stagno e rame, cioè bronzo.
La notizia del ritrovamento di un’antica statua arrivò a Pietro Barbetti, un antiquario di Gubbio, che l’acquistò per 3.500.000 lire. In seguito la statua fu portata da Pietro Barbetti e da Fabio Barbetti nella canonica di don Giovanni Nargni e qui custodita per diverso tempo, questa circostanza, confermata poi anche dal sacerdote stesso, è stata notata dalla perpetua di don Nargni che denunciò anonimamente il fatto ai Carabinieri, che intervennero e si arrivò ad un processo con l’accusa di acquisto e occultamento di un’antica opera d’arte in danno dello Stato italiano. Accusati furono Pietro Barbetti con i parenti Fabio e Giacomo Barbetti e il prete Giovanni Nargni. In primo grado furono assolti per insufficienza di prove, in secondo la Corte di Appello i Berbetti a 4 mesi di reclusione e don Nargni a 2 mesi. Poi la Cassazione rimise i 4 nuovamente al giudizio della Corte d’Appello che li assolse con formula piena.
La statua nel frattempo era già stata venduta da Giacomo Barbetti, cugino di Pietro, ad un antiquario milanese di cui non si conosce il nome. Secondo altre ipotesi da confermare la statua fu invece esportata in una cassa di medicinali verso una missione religiosa in Brasile in cui operava un conoscente dei Barbetti.
La statua nel 1971 viene acquisita da Heinz Herzer, un commerciante di Monaco di Baviera aderente all’Artemis Group, e viene sottoposta alle prime analisi e restauri. Nel 1974 l’esame del radiocarbonio data la statua approssimativamente al IV secolo a.C. e viene attribuita per la prima volta a Lisippo.
Dopo alcune trattative e tentativi di offerta al mercato nero e una forte competizione contro il Metropolitan Museum of Art, fu acquistata nel 1977 dal Getty Museum per 3,98 milioni di dollari.
La statua è attualmente esposta alla Getty Villa di Malibù, California.
Il luogo preciso del ritrovamento che ha preservato l’oggetto per più di due millenni non è mai stato stabilito con certezza ma sembra che la nave degli antichi romani che la trasportava fosse sulla traversata dalla Grecia verso l’Italia quando per cause ignote affondò con il suo prezioso carico.
Vari governi italiani anche assieme alla regione Marche, specie negli ultimi anni hanno reclamato[24][25] il ritorno della statua in Italia, ma il museo ha sempre replicato negativamente e ritenuto infondate le richieste a causa dell’impossibilità di stabilire con precisione il luogo del recupero.
Nel novembre 2005, a Roma, l’ex conservatrice del Getty Museum, Marion True è stata accusata di associazione per delinquere e di traffico illegale internazionale di opere d’arte. Secondo l’accusa la True avrebbe acquisito opere d’arte illegali provenienti dal deposito di Giacomo Medici, condannato nel marzo del 2005 a dieci anni di prigione e a 10 milioni di euro di risarcimento danni allo Stato Italiano per traffico di opere trafugate da cinquanta tombe etrusche e implicato nel processo con il gallerista di Ginevra Robert Emmanuel Hecht dal quale la stessa True avrebbe acquistato alcune opere per conto del Getty Museum.
Secondo Stefano Alessandrini, fanese e consulente di parte civile per “Italia Nostra” al processo romano contro Robert Hecht e Marion True, il J. Paul Getty Museum di Malibù era a conoscenza della provenienza illecita della statua poiché esisterebbe una copia di una intervista del 1979 realizzata dall’ABC all’ex direttore del Metropolitan Museum of Art, Thomas Hoving, nella quale dichiarava di aver rinunciato all’acquisto della statua perché di provenienza incerta ma che nonostante altri musei avessero evitato di comprarlo, il Getty accettò ugualmente pagando pur di aver l’Atleta che si incorona.
Da parte sua comunque Michael Brand, nuovo direttore del museo americano e subentrato a Marion True, in una lettera a Rutelli scrisse: «rigettiamo ogni ipotesi che il Getty fosse stato a conoscenza, al momento dell’acquisto, che gli oggetti che dovevano esservi trasferiti fossero provenienti da scavi illegali in Italia.»
In una lettera al J. Paul Getty Trust datata 18 dicembre 2006, la True dichiarava di sentire su di se tutto il “peso delle colpe” delle pratiche che erano conosciute, approvate, e giustificate dal Getty Board of Directors. Marion True è inoltre attualmente sotto indagine delle autorità greche per l’acquisizione di una corona funeraria di 2500 anni fa.
Il 20 novembre 2006, il direttore del museo Michael Brand, ha annunciato l’intenzione di restituire all’Italia solo 26 opere delle 52 richieste, ma non l’Atleta di Fano, pezzo sul quale pende ancora una causa giudiziaria. Il 14 dicembre dello stesso anno il Ministro per i Beni e le Attività Culturali Francesco Rutelli, rispondeva sul Corriere della Sera che se le trattative non si fossero concluse con un ritorno in Italia di tutte e 52 le opere richieste il museo sarebbe stato posto sotto l’embargo culturale italiano.
Il 1º agosto 2007 viene annunciato l’accordo in cui il museo restituisce 40 opere all’Italia, tra queste è presenta la Venere di Morgantina, che verrà riconsegnata nel 2010, ma non figura l’Atleta di Fano per cui l’accordo prevede che ogni decisione è rimandata alla fine del procedimento giudiziario in corso presso la procura di Pesaro. Nello stesso giorno la procura di Pesaro ha chiesto la confisca della statua per i reati di contrabbando ed esportazione clandestina, richiesta respinta da giudice.
Successivamente, l’11 febbraio 2010, il GIP dispone il sequestro della statua «attualmente al Getty Museum o ovunque essa si trovi». Eccoci arrivati a questo punto della storia.
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