di Redazione
26 settembre 2012
Da Gabriele Darpetti, referente provinciale UDC per i rapporti con l’associazionismo cattolico ed il terzo settore riceviamo e pubblichiamo
C’è un’Italia fatta di mille volontariati, e la nostra provincia ne è un mirabile esempio. Ci sono tantissime associazioni, con diverse persone che danno gratuitamente il loro tempo e le loro energie, per lenire i disagi di altri cittadini di tutte le condizioni sociali, politiche, religiose. Ma di fronte a tanto encomiabile impegno, a volte mi viene un dubbio: la proliferazione di nuove associazioni di volontariato che si occupano di nuovi e specifiche forme di disagio, è positiva? Una ricerca di un paio di anni fa, presentata ad un convegno del CSV Regionale, prendeva atto che il numero delle associazioni era in aumento, ma il numero dei volontari era pressoché stabile se non in leggero calo. Questo significa che le associazioni si dividono, che le stesse persone fondano, o fanno parte, di più associazioni, Che si parcellizza un impegno generale alla salvaguardia dei diritti in impegni specifici e particolari. In questo modo non si corre il rischio che anche il volontariato rifugga in una sorte di “privato”, ad occuparsi di questioni circoscritte, controllabili, vicine alla vita di ciascuno, o che siano frutto di un problema familiare, che ha toccato personalmente amici o parenti?
In questa maniera si potrebbero perdere di vista le questioni globali, la salvaguardia dei diritti universali di base, la lotta alle “storture” che la nostra civiltà continuamente crea, tralasciando le grandi battaglie ideali, che educano al senso civico ed al rispetto reciproco, e divenendo nel tempo anche meno “interessanti” per i giovani, che sono viceversa alla ricerca di grandi battaglie universali. Infine c’è anche il rischio della “personalizzazione” delle associazioni di volontariato con il risultato di ingessare i gruppi dirigenti e frenare il ricambio costante che naturalmente dovrebbe esserci in questo tipo di organismi. Certo, ormai il “mostro” del capitalismo liberista, del “dio consumo”, che con le enormi potenzialità delle sue speculazioni finanziarie sembra sempre più difficile e lontano da combattere, e nessuno lo mette più al primo posto tra le battaglie da affrontare.
Eppure se non si ritornerà ad operare per esigere i diritti universali, non ci sarà speranza neanche per le nostre esigenze ed i disagi personali/locali. Già Benedetto XVI nella “Caritas in Veritate” ammoniva a perseguire la giustizia in tutte le fasi delle attività sociali ed economiche, e che “i canoni della giustizia devono essere rispettati sin dall’inizio, mentre si svolge il processo economico, e non già dopo o lateralmente”, ma per far questo occorre un “corpo sociale” vigile ed impegnato, che guarda in “alto” e che assume come missione la “civilizzazione dell’economia”. In questo senso è necessario un volontariato coeso, capace di lavorare insieme e non di dividersi, di non spaventarsi di fronte ai grandi problemi né di rinchiudersi nel particolare delle proprie azioni quotidiane, perché oltre a “lenire” i disagi, vanno risolte a monte le cause dell’impoverimento progressivo di alcune fasce di popolazione e in alcuni casi di interi nuovi popoli. Per questo la “tensione” all’unità ed a studiare insieme i sempre nuovi, ed a volte subdoli, problemi che crea il “mercato” deve aumentare. Faccio questa riflessione “dal di dentro” di questo importante mondo vitale, in quanto vi opero già da diversi anni e ricopro cariche anche in organismi rappresentativi del volontariato provinciale, con lo spirito costruttivo di chi vuole stimolare un dibattito positivo, sereno, e teso a migliorare un settore che sarà sempre più importante, anche in futuro, per consentire una buona coesione sociale ed una discreta qualità della vita delle nostre comunità, e che per questo non può permettersi il rischio di diventare mai “autoreferenziale” come purtroppo ha fatto la politica.
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