1 febbraio 2013
PESARO – Il basket e chi lo ama è in lutto per la morte, avvenuta la scorsa notte nella sua abitazione di Sesto san Giovanni (Milano), del professor Giuseppe “Dido” Guerrieri.
Ai giovani, il ricordo di Dido Guerrieri potrebbe significare poco. Chi segue la pallacanestro da almeno trent’anni, però, conosce quanto sia stato importante per la nostra pallacanestro il Professore nato a Civitavecchia il 21 maggio 1931. Laureato in educazione fisica, amava lo sport, non solo il basket. Indimenticabili, a tal proposito, i suoi racconti sulla pallacanestro Nba e di college, che seguiva a Seattle, dove si recava a trovare la figlia, ma anche sul baseball, che seguiva dalle tribune dello stadio che ospita le partite casalinghe dei Mariners. Chissà come gli sarebbe piaciuto vedere all’opera Alex Lidd, il giovane italiano che gioca per la squadra dello stato di Washington.
Dido Guerrieri è stato narratore unico anche grazie all’amicizia con Aldo Giordani, il giornalista italiano che più ha fatto per la crescita della nostra pallacanestro. Fondatore di Superbasket, Giordani volle che Guerrieri raccontasse ai lettori le sue storie, che non erano solo dedicate al mondo dei canestri, anche se restano indimenticabili le pagine su Gil McGregor, sfortunato americano della Fortitudo Bologna. Imperdibili anche le vicende del suo gatto, Silvestro, a spasso sui tetti. Articoli poi raccolti in un libro, “Il Taccuino”, pubblicato nel 1996.
Il Professore è stato avversario di tante sfide alla Scavolini, legando il suo nome a un altro marchio famoso dell’industria pesarese: dal 1983/84 al 1985/86 era sulla panchina della Berloni Torino, che guido fino alle semifinali scudetto, regalando ai fratelli Antonio e Marcello la soddisfazione di espugnare più volte il vecchio hangar di Viale dei Partigiani. Potete immaginare cosa accadeva dopo la vittoria del “derby delle cucine”. Suonavano le sirene della fabbrica di Ginestreto, la comitiva torinese andava a cena con gli sponsor pesaresi nel ristorante “da Carlo”, in Viale Trieste.
Dido Guerrieri non amava giacca e cravatta, preferiva camicia e pullover girocollo. Una sorta di Marchionne di trent’anni fa. Ma il paragone non gli sarebbe piaciuto: era uomo di sinistra che nei reportage sulle vacanze americane esprimeva indignazione per le malefatte di George W. Bush e la pochezza morale del suo amico italiano.
Guerrieri era assai scaramantico. Un pomeriggio fulminò con lo sguardo chi scrive che osò presentarsi nella postazione stampa dietro la panchina ospite indossando un pullover color viola.
Un personaggio d’altri tempi, nel vero senso della parola, un uomo da rispettare, da ricordare. Non basterà un minuto di silenzio sui campi di basket di tutta l’Italia. Lui, in compagnia del gatto Silvestro e dei tanti amici che l’hanno preceduto, borbotterebbe qualche parola. A meno che non ci siano angeli con le ali viola.
Giancarlo Sacco allenava la Scavolini che affrontò, negli anni Ottanta, le squadre guidate dal Professore: prima la Berloni Torino, poi il Banco di Roma. Ecco il suo pensiero-ricordo: “Quando ci si incontrava era sempre un piacere perché lui non era solo basket; era anche cultura e arte. Lui era l’“eternauta”, e io per lui ero il “bohémien”. Nonostante la differenza generazionale, c’era stato subito un gran feeling. Lui era, è un mito”
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