L’appello di Borgiani: “Riformiamo la riforma Fornero”

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21 febbraio 2013

Roberto Borgiani

Roberto Borgiani, direttore provinciale Confesercenti

di Roberto Borgiani*

PESARO – La riforma del mercato del lavoro voluta dalla coppia Monti-Fornero dovrà essere necessariamente riscritta dal nuovo governo del Paese. Sono molti a sostenerlo. E molti sono anche i motivi sensati che vengono addotti. Si vedano da ultimo le serie considerazioni svolte dalla Fondazione studi dei Consulenti del lavoro.

C’è un aspetto in particolare che, a mio avviso, è stato impostato male e dovrà essere rivisto in profondità. Si tratta del tentativo maldestro di ridurre la cosiddetta flessibilità in ingresso per contenere la precarietà e l’insicurezza che ne deriva nei lavoratori.

Se il principio è condivisibile mi sembra invece che si stia dimostrando che sono stati sbagliati sia l’impostazione della soluzione, che la valutazione sul contesto economico.

La riduzione delle forme flessibili di ingresso nel mondo del lavoro (tempo determinato, co.co.pro., ecc.) non è praticabile come semplice atto di imperio dirigistico statale che risolve con forza di legge quanto andrebbe invece lasciato alla contrattazione collettiva, ma, soprattutto, non può essere fatta in un momento di grave crisi economica come quello che stiamo attraversando, con le imprese che sono in forte difficoltà, incerte sul loro futuro, per nulla invogliate ad impegnarsi in progetti di crescita e sviluppo che soli potrebbero portare ad un significativo aumento dei posti di lavoro.

L’occupazione non la si fa con le leggi, ma con la crescita e lo sviluppo economico.

In questo periodo di crisi, l’alternativa non è fra lavoro stabile e lavoro flessibile, ma fra disoccupazione permanente e lavoro.

Le forme di lavoro flessibile, comunque, avrebbero garantito qualche maggior possibilità di accesso a molti giovani che invece adesso si vedono rifiutare ogni possibilità, col risultato che la riforma Fornero sta contribuendo a produrre il picco di disoccupazione giovanile ed il minimo di assunzioni stabili.

A riprova di quanto sostengo, c’è la vicenda del tempo che deve incorrere fra un contratto di lavoro a termine e quello successivo fra gli stessi soggetti (datore di lavoro e lavoratore). La riforma Fornero prevede 60 giorni di intervallo elevati a 90 se il primo periodo superava i sei mesi. Per fortuna, la legge prevede che la contrattazione collettiva possa prevedere termini più brevi, anche se non inferiori a 20 e 30 giorni.

Ebbene le parti sociali, del turismo, del commercio, dei servizi di pulizia, delle telecomunicazioni, dei poligrafici, avvalendosi di questa possibilità, stanno stipulando accordi nei diversi settori economici per rimediare a questo errore e definire un metodo più applicabile alla nostra realtà.

Laddove si conferma che troppo dirigismo fa male a tutti, anche ai soggetti più deboli, e che le parti sociali, se sono libere di muoversi e di contrattare, sanno essere più concrete, più realistiche, più aderenti alla situazione economica e, in definitiva, più responsabili di certi governanti.

*Direttore provinciale Confesercenti

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