Labella: “Un Papa argentino, che emozione”

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14 marzo 2013

PESARO – Fra i tanti che mercoledì sera hanno seguito in diretta l’annuncio del nuovo Papa, uno ha provato un’emozione particolare. Fernando Labella, ex giocatore di basket della Scavolini, vive a Pesaro da più di vent’anni. Qui si è sposato e ha famiglia. Ma i primi diciotto anni li ha trascorsi in Argentina, a Buenos Aires, dove è nato nel 1971.

Papa Bergoglio

Papa Bergoglio

“Ho seguito tutti i momenti, passo dopo passo, dall’annuncio alla prima volta dal balcone…”.

Ha capito subito che si trattava di un suo connazionale?
“Sinceramente no. Ci ho messo qualche secondo per rendermi conto che era stato eletto l’arcivescovo di Buenos Aires… E mi è venuto in mente il ricordo di otto anni fa, l’elezione precedente, perché il cardinale Bergoglio era stato in lizza con Papa Ratzinger. Ma nei giorni che hanno preceduto il conclave, come pure durante, non si era mai parlato di lui”.

Quando si è reso conto che era lui?
“Ho pensato che era una soddisfazione per tutti, per la gente che in tutto il mondo era in trepida attesa, ma in particolare per gli argentini. Qui viviamo un momento particolare, difficile, ma in Argentina questo periodo dura da tanto tempo. La sua elezione non darà più pane, ma almeno un po’ di felicità”.

Lei è di Buenos Aires: ha conosciuto Bergoglio?
“No, sono andato via che avevo solo diciotto anni. Ora in Argentina è rimasto solo mio fratello. Di Papa Francesco so che è una persona stimata, amata, alla mano, sempre vicino alla gente più umile, ai poveri, a chi soffre. Vive, anzi viveva, in un piccolo appartamento, viaggia in “colectivo”, la linea di bus cittadini, o in metropolitana, il “subte”. Come la gente normale”. L’ha dimostrato anche stamattina, lasciando il Vaticano a bordo di un’auto normale, non la famosa Mercedes Benz nera targata CV1.

Tra l’altro è uno sportivo, ha giocato a “baloncesto”, a basket, ed è tifoso di calcio.
“Purtroppo, tifa per il San Lorenzo de Almagro, mentre io sono tifoso del Boca Juniors. A parte gli scherzi, ho notato – leggendo i giornali e guardando la tv – che è piaciuto a tutti per la semplicità. Lo ha dimostrato nei saluti, dal “buona sera” al “ci vedremo presto”, ma anche chiedendo i microfono per chiedere ai presenti in Piazza San Pietro di pregare per lui. Mi ha ricordato Giovanni Paolo II”.

A proposito: in Polonia, Karol Wojtyla si era battuto contro il comunismo. Di Jorge Mario Bergoglio non si racconta altrettanto. Un libro, scritto da Horacio Verbitsky, esponente della difesa dei diritti umani in Argentina, accusa Bergoglio sulla vicenda di due giovani gesuiti fatti sparire dalla giunta militare, dai dittatori che trucidarono una gioventù “desaparecida”. Il giornalista scrive che molti sacerdoti salivano sui voli dai quali erano scaraventate, nel Mar della Plata, le vittime, per dare loro l’estrema unzione.

“In tutta sincerità – conclude Fernando – non so niente”. E in verità – come scrive oggi La Repubblica – Papa Bergoglio ha fatto mea culpa per il comportamento della Chiesa.

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