di Redazione
6 aprile 2013
di Stefano Rossi*
Cerco di immaginarmi la coppia di Civitanova, prima che accadesse…
Onesti marito e moglie che non sopportavano più il peso della vergogna per la povertà che li attanagliava negli ultimi tempi: quei 15 mila euro che dovevano alle banche, gli stessi soldi che il marito non riusciva a riscuotere da certi creditori; quel lavoro in regola che non riusciva a trovare e nemmeno poteva permetterselo da autonomo poiché impossibilitato a emettere fattura a causa dei debiti di cui sopra; di conseguenza, la regolare pensione che non riusciva a raggiungere per gli anni di lavoro ancora mancanti; quella dignità che sentivano di non voler perdere chiedendo aiuto. E il colpo finale inferto alla loro sensibilità, l’avviso di Equitalia del pignoramento dell’auto ferma da tempo senza assicurazione. Un fatale susseguirsi di causa-effetto.
Cerco di immaginarmeli prima che accadesse... Quel loro dialogo, quelle frasi, quelle singole, semplici parole, pesanti come macigni, uscite dalle loro bocche, che decidono che in quella sera dovranno vestirsi di tutto punto, poi entrare nello sgabuzzino, sistemarsi l’uno dietro l’altro, lei rigorosamente dietro lui, ed impiccarsi ai ganci dove si usa appendere le biciclette.
Cerco di immaginarmi come se lo sono detto… In che modo hanno deciso e si sono accordati. Magari a tavola o seduti sul divano. Forse la televisione accesa. Poi la decisione lucida e terribile che nasce e prende il sopravvento in quel preciso minuto o istante. Gli sguardi. Il silenzio acconsenziente. La disperazione accompagnata ai più piccoli gesti quotidiani. Lui va in bagno, lei spegne le luci. Ormai è deciso, si farà. Insieme fino alla fine. Se ne vanno a dormire sotto le coperte. Loro sanno, nessun altro sa.
Con quale stato d’animo, nella sera prestabilita, lasciano il fratello di lei che si è appena addormentato e con il quale convivono, e uscendo dall’appartamento si dirigono nel maledetto ripostiglio? Romeo, il marito, decide prima di scrivere un biglietto. Lo lascia sul parabrezza dell’auto di una vicina: “Perdonateci per quello che abbiamo fatto. Siamo nel ripostiglio. Avverti Giovanna (la sorella dell’uomo). Ciao, Romeo”. Come dovessero sbrigare una pratica incombente, una commissione. E con la sicurezza e la determinazione di quegli uomini di un tempo, quando una cosa deve andare assolutamente fatta.
L’indomani mattina il fratello di lei non s’è accorto di nulla. Sta tornando dal mercato, ha comprato il pesce. Vede della gente davanti casa sua. Gli dicono cosa è accaduto. Sale su, prende le chiavi dell’auto e con questa si dirige al molo. Una volta arrivato, si getta nel mare agitato, tra le onde. Un peso insopportabile lo trascina negli abissi. Dei pescatori e un marinaio presenti nel posto cercano di soccorrerlo e gli lanciano un salvagente, lui lo scansa e decide di lasciarsi andare a questo peso.
Mentre immagino tutto questo, dagli abissi di quel mare, vedo venire a galla certe strane parole che risuonano lontane. Forse non più adatte a questo tipo di mondo. Eccole: “La santa povertà fa vergognare la cupidigia, l’avarizia e le preoccupazioni di questo mondo. La povertà è quella virtù celeste per la quale viene calpestato tutto ciò che è terreno e transitorio; è quella virtù per cui vengono tolti gli impedimenti, affinché lo spirito umano si possa unire liberamente con l’eterno Iddio. Essa fa che l’anima, ancora pellegrina sulla terra, conversi con gli angeli nel cielo e nel momento della morte sciolta da ogni vincolo se ne vada a Cristo (San Francesco)”.
* scrittore pesarese, autore del romanzo breve “A pié di Parigi” (disponibile solo in formato ebook – http://www.meligranaeditore.com/a-pie-di-parigi_2600784.htm
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