di Redazione
30 aprile 2013
di Simona Ricci*
PESARO – Al sesto anno consecutivo di una crisi di proporzioni epocali, i dati e le analisi a nostra disposizione dovrebbero suggerire un cambiamento di rotta altrettanto epocale a tutti coloro che hanno la responsabilità primaria nella guida dei processi di cambiamento e di uscita dalla crisi, istituzioni e parti sociali. Ma guardando a ciò che accade o, meglio, ciò che non accade, tutto sembra andare avanti come nulla fosse. Si moltiplicano gli appelli ad affrontare l’emergenza sociale ed economica, giustamente e necessariamente, anche a livello locale, ma sulle possibili ricette per immaginare uno sviluppo diverso del Paese e anche del nostro territorio provinciale, neanche l’ombra.
Se solo si rimettessero al centro le politiche del lavoro, si sarebbe già fatto un enorme passo avanti. Se solo questo Paese smettesse di discutere attorno a vecchi e arrugginiti luoghi comuni, si sarebbe già fatto un servizio all’Italia e ai cittadini. In particolare i luoghi comuni sul lavoro sembrano essere quelli più duri da scalfire. Rimettere in fila alcune verità che anche le statistiche ci raccontano potrebbe aiutare a risparmiare ore e giorni di inutili diatribe.
Gli italiani sono tra coloro che lavorano di più in Europa, sono tra i peggio pagati e ora sono quelli che vanno in pensione più tardi con redditi bassissimi. Hanno un mercato del lavoro con uno dei più alti indici di flessibilità e politiche attive per il lavoro tra le più inefficienti e inefficaci e quelle, per le quali, si spende meno in Europa.
Di più: la forbice tra produttività e salari si è progressivamente allargata negli ultimi 30 anni e così, i profitti se ne sono andati verso altri lidi più sicuri, non sicuramente (se non in minima parte) a favore di investimenti produttivi, tecnologie, innovazione e risorse umane. Questo, in estrema sintesi, ci raccontano analisi e ricerche, di ogni colore e provenienza.
Il risultato è che il paese non cresce da almeno un quindicennio e con la crisi è sprofondato, trascinando con sé il lavoro, la libertà e la dignità di molti. Nonostante le analisi impietose, sia sul piano nazionale sia sul piano locale, di un sistema economico e sociale che sta, da almeno un decennio, perdendo pezzi, non intravediamo nemmeno una minima traccia di discussione, di un progetto complessivo che si concentri piuttosto su cosa produciamo, come e con quali risorse umane e tecnologiche; concentrati come siamo a far sopravvivere l’esistente senza pensare se ciò che è esistito sin qui sia ancora quello che serve a questa comunità provinciale, al paese. Non c’è una sfida lanciata a qualcuno o a qualcosa, non c’è sperimentazione, non c’è l’idea di mettersi insieme, istituzioni e parti sociali, per cogliere le opportunità che l’Europa ci mette a disposizione. Non c’è ascolto dei territori, c’è diffidenza, c’è arroccamento, ci si difende e non si rilancia. Sommersi dalle emergenze economiche e sociali, protetti dai campanili o dalle rassicuranti corporazioni tendiamo ad autoassolverci, rischiando, alla fine, di non essere in grado di svolgere il compito principale che ci spetta: quello di offrire alle persone che rappresentiamo e soprattutto ai giovani un’altra possibilità di futuro.
Lo scorso anno vi augurai buon 1° Maggio con un verso di Paolo Volponi. Quest’anno vorrei farlo con una frase di un grande imprenditore cui Volponi dedicò molta del suo sapere e della sua intelligenza, Adriano Olivetti, il quale scriveva:” Può l’industria darsi dei fini? Si trovano questi fini semplicemente nei profitti? O non vi è qualcosa di più affascinante, una trama ideale, una destinazione, una vocazione?”. Vorrei dedicare queste parole a chi lavora, con l’augurio che di quella trama ideale possiamo diventare tutti esperti e consapevoli tessitori.
*Segretaria generale Cgil Pesaro Urbino
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