di Redazione
8 maggio 2013
PESARO – Siamo nel cuore della primavera, ma le condizioni meteo sono poco propizie a Raffaele Pierotti e alla cavalla Oana. Il viaggio intrapreso non è facile. Per fortuna, a scaldare il cuore del nostro amico ci pensa la gente che incontra.
Sabato è una giornata splendida, piena di luce. Il torrente impetuoso e le espressioni canore degli uccellini invogliano al buon umore e a partire per vedere posti nuovi. Oana ha potuto pascolare in un erba molto ricca e ora, serenamente, mi porta alla vetta del Monte Gottero. La salita iniziale è agevolata da diversi tornanti fino a Foce dei Tre Confini (1408 metri). Poi, per arrivare alla cima (1639) del Gottero il tratto sale diritto verso il sole. Cumuli di neve gelata coprono il sentiero. Un grosso blocco di neve riesco ad aggirarlo ai lati aprendomi la via con il machete. Poi, in alto, sulla cima, una gran parte del territorio ligure ci circonda completamente. Una suggestione di ammirazione, un’ovazione silenziosa, un momento di squisita arrendevolezza. La discesa è aspra come sempre, un gioco di leve esasperante per gli arti del cavallo. Si scende con prudenza e lei osserva attentamente dove cammino io.
Altra neve da superare, lungo la tortuosità del sentiero fatto anche di rocce scivolose. Poi, dietro la curva, incontro un uomo dalla barba bianca, magro, alto, pieno di vitalità, alto. Suscita subito simpatia e familiarità. E’ soprattutto la piccola moglie che lo segue a parlare con me, conoscendo in modo più approfondito l’italiano. Mariette e Antoine vengono da Lourdes, vanno ad Assisi passando per Mondovì, attraverso il Passo della Scoffera (Liguria). Sono di Sisteron, una cittadina dove dovrei passare e mi offrono la loro assistenza per quando arriverò. Oltre a darmi il recapito telefonico, Oana si ritrova immortalata in alcune foto francesi prima del previsto.
Più avanti, sceso di quota di alcune centinaia di metri, trovo i segni che la neve pesante ha lasciato: un succedersi di alberi abbattuti senza pietà per circa 300 metri. Per fortuna che pochi giorni prima sono stati tagliati con le motoseghe. Solo una settimana di anticipo e non sarei passato. Infine il percorso diventa via via più agevole, trasformandosi in una stradella dal fondo asfaltato dopo il Passo della Cappelletta.
Per pranzo giungo al Passo di Cento Croci dove il Bar Ristorante Camillo Ranch mi invita a fermarmi. La gentilezza di Marco e Valentina e la loro cucina casalinga ottengono il resto: di passarvi la notte. Marco Sanguineti è un uomo di cavalli, anche se fa un altro lavoro. E’ chiaro che ci si intende subito. Con quei ravioli squisiti, con i taglierini alle ortiche al ragù eccellenti, so già che mi scoccerà ripartire il mattino dopo. A sera incontro per caso Giorgio Camisa, giornalista che lavora per la Gazzetta di Parma e TV Parma; ci mettiamo d’accordo per un’intervista, l’indomani.
Il mattino di domenica parto, alle 8, dopo l’intervista che faccio un po’ imbarazzato, e continuo sull’ Alta Via cercando di arrivare a Prati di Mollo attraverso il Passo del Bocco (37 chilometri). Incomincia a piovere, ma, entrambi coperti da impermeabile, procediamo imperterriti seguendo i segnavia; altrimenti con il nebbione non si potrebbe continuare. Verso la mezza si sale fino a quota 1300. Dovrei scovare nuove parole per descrivere un paesaggio, i vasti panorami, l’inclemenza del tempo, la mia sensazione di essere parte di un tutto. Una wilderness silenziosa, comunicativa, graffiante; scorci brillanti di pioggia, crinali spartiacque, boschi simili a foreste, dirupi slavati e inospitali…fin qui il lato visivo e appena poetico sebbene sia così profondamente reale, vero, evidente. Ma lascio immaginare la durezza del percorso e la fatica.
Alle ore 14, con addosso tanto freddo, con le gambe bagnate, mi concedo un abbondante pasto al Passo del Bocco. Fuori piove ancora, ma riparto, stanco di sentieri ammazza cristiani e al Passo Ghiffi, notando l’assenza d’erba per molti chilometri decido di scendere a valle. Attraverso un mondo fradicio, paeselli senza nulla che si muove, percorro strade mute, grigie, tortuose dentro gole dirupate. Il mangiare con il freddo addosso mi blocca lo stomaco e procedo piegato in avanti per lenire il dolore. Poi, verso le 18, trovo una piccolissima casina in pietra, aperta sul davanti, e una piccola radura dove far mangiare Oana. Il fuoco che faccio in un angoletto del rifugio mi dona un po’ d’allegria e dopo aver vomitato mi sento subito meglio. Asciugo tutto, scarponi, calzini, le maniche della camicia…e mi sento felice.
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