di Redazione
27 maggio 2013
PESARO – Raffaele e Oana sono in Francia. Ecco il racconto del cavaliere cagliese. Non manca qualche brivido imprevisto…
Ho visto le prime rondini. Svolazzavano sopra i prati dall’erba alta. Riprendendo la Strada Militare e’ un piacere seguire la conchiglia gialla. Attorno a me, in alto, e’ un susseguirsi di catene rocciose coperte di neve caduta negli ultimi giorni. E’ una mattinata fredda e Oana aveva il pelo drizzato su. E’ anche una lunga marcia oggi ed evito di pranzare per arrivare ad un’ora decente a Bersezio, dove giungo quasi sfinito. Argentera, pochi chilometri più avanti è un Comune di solo un abitante. La sua sede è stata spostata in una sua frazione, appunto Bersezio. All’anagrafe sono registrate una ottantina di persone, ma sono a malapena 30 i cittadini che la abitano. Nel municipio, all’ultimo piano, un appartamento confortevole dove il vice sindaco, Arnaldo Giavelli, e il sindaco Daniele Giavelli mi ospitano assieme all’inquilino, Franco, che lavora per il Comune. Franco si mette a cucinare e gustiamo un piatto di succulente penne.
Martedì 21 maggio, di mattino presto, cavalco in mezzo ad un paesaggio abbandonato. Solitario, appartato, ampio, silenzioso, bianco. Nemmeno il torrente affianco sembra fare rumore. La statale 21 taglia in due la vallata. Non sale neppure, resta in piano, grande, allungata fino alla prossima curva, e alla prossima ancora, sembra in attesa di qualcosa, sorniona, paziente. Siamo solo io e Oana. Non ci son più le rondini. Argentera la attraversiamo in silenzio, in onore di quell’unico abitante che spero di vedere. Alle 6 del mattino forse dorme. Ho le mani gelate. Comincia a passare qualche tir, incominciano i tornanti. E poi, a quota 1991, al Passo della Maddalena, entro in Francia alle 7.30. Un’ora dopo faccio colazione a Larche. Il sole comincia a spuntare, il verde sempre più intenso mi rincuora, le mani ripigliano poco a poco il loro vigore.
Dopo una marcia di 44 km mi accampo lungo il fiume Ubaye, a Barcellonnette. Mi curo la febbre che sento con tachipirina e mercoledì mattina si comincia a entrare nel cuore della regione della Provenza. Si percorre la D900 e alla sera sono a Rousset, sul lago da dove esce il fiume Durance. Prima del ponte, a sinistra, trovo un prato alberato, incustodito e abbandonato, e decido di fermarmi, perché una baracca in legno con tettoia sporgente offre un riparo in caso di pioggia. Ci sono indicazioni turistiche di diverso tipo e la comparsa di 4 ragazze a cavallo mi fa pensare alla presenza di un maneggio che potrebbe ospitare Oana. Ma la ricchezza d’erba mi fa desistere dall’idea di cercarlo. Alcuni curiosi si fermano e tra una certa ostilità e voglia di sapere mi ascoltano. Più tardi, dopo una leggera piovuta, vedo dalla tettoia sotto la quale mi son riparato, altri tre individui cacciare il naso su Oana.
Armato di pazienza ripeto dove vado, l’uso delle pastoie, che non hanno mai visto, l’importanza dell’erba. Un tipo è trasandato, dai baffi bianchi e macchiati, e parla solo francese. Ha l’aspetto di un benzinaio, ma di quelli che rotolano nelle loro tute sporche da decenni. L’altra è una cinquantenne, Annie, bassa, larga, con una certa pancia. I miei abiti sono più in ordine dei suoi e parla un francese stretto stretto, morbido e solo con le vocali. Il trio si chiude con un tizio basso, scuro di carnagione, dal viso simpatico e rotondetto, che parla spagnolo insieme a francese e italiano. Il benzinaio se ne va, ma gli altri due mi si attaccano addosso affabili e molto preoccupati per la mia sorte. Parlano di altri viandanti in difficoltà, ubriachi che scorrazzano in quei dintorni. Si offrono di accudire al mio cavallo. Io penso al maneggio lì dietro e vedo Annie tutta preoccupata per Oana.
Convinto da Sebastiano, sciolgo Oana e li seguo. La strada è corta, ma non vedo alcun centro equestre; solo tanta erba alta, ma non quella di un giardino ancora da accudire. Un capanno spunta da quell’erba, l’ingresso nero, mostruoso, profondo. Attrezzi agricoli si intuiscono tra il folto, arrugginiti o meno vecchi, accumuli ferrosi qua e là. Sembra il profondo sud della Louisiana – la parte francese forse? -, Annie si mette pulire il secchio e a far bere Oana e io vado a prendere le mie cose per dormire.
Sebastiano non mi lascia un solo attimo e mi segue. Abituato alla cortesia trovo in loro una certa esagerazione che comincia a farmi pensare. Mi invitano a cena in una casa dalle scale al buio e i muri luridi. Però la cucina e la sala sono tenuti al meglio. Tuttavia mi sento in trappola. Annie ha gli occhi a un tempo teneri a un tempo impudenti, diretti al mio marsupio. Sono comunque interessanti le prove di comunicazione e mi diverto mentre cerco una via di fuga. Tra un discorso e l’altro quelli fumano come ciminiere appestando tutta la casa. Dico loro che non posso dormire nella loro casa perché debbo stare con Oana. La purea e’ molto buona, la carne é bruciata e mi sento sempre più in trappola. Quelli stanno valutando la situazione. Almeno mi pare di percepire. Non ho armi, ma ho il telefono. Mando un messaggio a un amico chiedendogli di chiamarmi. Puntuale mi tira fuori dai guai. Faccio credere loro che è Luciano Murgia, il giornalista che segue il mio viaggio con pu24.it, e mi faccio accompagnare fuori. Aria fresca finalmente. E’ buio. Vedo la finestra illuminata e immagino Annie dispiaciuta per la lepre che le e’ sfuggita. Accidenti ai telefoni! Dirà.
Nel dubbio non potevo fare altrimenti. Sciolgo Oana e la porto nel primo accampamento dove ho tutto l’equipaggiamento e mentre sono al telefono riesco a sellarla. Sono le 23 quando attraverso Rousset. La luna e’ quasi piena, un leggero vento porta gli odori buoni dei grandi campi d’erba. E’ bello vivere, è bello sentire Oana trottarmi dietro. Mi infilo in un boschetto, lascio sellata la mia compagna e dopo un breve riposo ripartiamo alle 4 del mattino.
E’ una notte serena, ma il vento non più benevolo: è tagliente, scontroso, inospitale. Che ci faccio in terra francese? Sono costretto a ricordarmelo. Ma vado avanti, come sempre, con quella specie di arrendevolezza testarda che fa parte dei miei progetti, con un’inerzia consapevole, sapendo che la tanta strada da fare mi inghiottirà richiudendosi alle spalle. Passano alcuni tir mentre a oriente un debole chiarore spegne la notte. Forse gli autisti mi prendono per uno spettro che ha perduto la strada. Ma alle 6 di giovedì trovo la strada che mi condurrà sulla Via Domitia. Alle 8 in punto, dopo una fugace colazione ad un bar, entro in questa importante strada. Vi sono tutti i segni che la contraddistinguono e sento, con quel sole che illumina la valle di Avançon, la felicità di esservi arrivato.
Me llamo Mario, soy gallego y me encontré con Luciano haciendo el camino de Santiago, en el camino entre Triacastela y Samos, en una fuente llamada Penapartida.Tengo varias fotos para enviarle, me facilitó el correo electrónico pero tengo mal sus datos, me gustaría poder enviarle dichas fotos, un saludo.
Mario