“Verso Fatima senza Oana, mi sento solo, ma la scelta è giusta”

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1 agosto 2013

PESARO – Trovato un posto accogliente per Oana, Raffaele Pierotti è ripartito, da solo, a piedi, diretto a Fatima.

Diverse sono le emozioni che provo a fare il Camino senza Oana. La più forte è il senso di essere solo, di non potere condividere con lei niente di niente. Subito dopo viene la sensazione di aver deciso il meglio per lei. Non sarei infatti un uomo di cavalli se non avessi riconosciuto il pericolo di portarla allo “strapazzo” fisico e mentale. Questione di qualche giorno e si sarebbe fermata da sola.

Da Vilarinho, il Camino è solo asfalto. Una strada stretta e schiacciata tra due alti muri, con pochi centimetri di banchina, tanto che al passaggio dei mezzi pesanti devo appoggiare la schiena al muro. Avevo deriso alcuni pellegrini perché si erano lamentati del percorso. Beh,  è addirittura peggio, molto pericoloso. In ogni caso non avrei portato Oana su quella parte di percorso e se ricordate era mia intenzione aggirare Porto. Ora, dopo aver passato questa metropoli, posso dire che è stata una giusta decisione.

Porto non mi è sembrata caotica, ma nelle zone del Camino ci sono bancarelle, turisti, ristoranti, bar, tendoni, lavori in corso, tram e perfino un attraversamento scavalcando il paracarro di una nazionale. Roba da matti. Comincio a chiedermi chi ha tracciato questo percorso. Nella rua Sao Joao è disegnata la valigia con il cuore dentro di Walk On accanto alla blu per Fatima. E’ un bell’invito a proseguire. E  il porto, il grande fiume e il ponte Luis I, sono uno spettacolo grandioso. Mi lascio alle spalle la città, ma per ore e ore c’è  solo asfalto sotto un bel cielo sereno, e paesi su paesi. Poca campagna e niente acqua. La Madonna di Fatima comincia a comparire spesso, stampata nelle case o come statua assieme ai tre pastorelli nei giardini. Trovo diversi prati per Oana, se fosse stata con me, ma niente acqua. Depositi asciutti, fontanili in disuso, nei parchi, nessuna fontanella.

Cerco un luogo carino per fermarmi e nella carta del Camino è indicato il Mosteiro – il monastero – di Grijó. Sperando che sia un luogo incantevole vado avanti non pensando alla fatica, grato in cuor mio di non dovermi occupare di Oana. Chissà se starà divorando la sua razione serale di fieno? Chissà se Duarte le darà la giusta razione? In realtà sono preoccupato. Non è possibile fidarsi se gli addetti al lavoro non sono della stessa categoria.

Il Monastero è un bell’edificio. Stendo il sacco a pelo nel prato. Prima di notte, un signore che sta per entrare nell’edificio, mi vede e non nasconde la gioia nel sapermi pellegrino. E’ dolente nel non potermi ospitare, non essendoci ancora un “albergue”. Mi introduce negli uffici del Monastero, addobbati di tappeti rossi, arredamento e grandi spazi tipici di palazzi importanti. Credo di capire che Adelino è il segretario di qualche eminenza. Mi timbra la credenziale e mi parla del Monastero molto volentieri. Mi è difficile capire il portoghese, non e’ affatto una lingua facile.

 

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