INDICE COMIT, l’economia spiegata con chiarezza. Ecco perché adesso è necessaria un’equa distribuzione del reddito

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24 gennaio 2014

PESARO – Sulla crisi finanziaria globale molto è stato scritto e le cause immediate sono ampiamente note: lo scoppio della bolla immobiliare negli USA e il fallimento di una delle più importanti banche d’affari statunitensi, la Lehman Brothers. La crisi è però riconducibile all’influenza di tre cause sottostanti:

La crescita delle diseguaglianze nella distribuzione del reddito

I persistenti squilibri commerciali e finanziari mondiali

I differenti comportamenti economici legati al sistema monetario basato sul dollaro.

 

Dopo aver toccato il fondo della crisi, al lieve giro di boa, dobbiamo riprendere fiato e incominciare a capire come uscire da queste macerie.

In Italia una delle prime questioni, oltre a quelle strettamente politiche (nuova legge elettorale- indispensabile-, una nuova camera del senato- sarebbe stato meglio abolirla-, una corposa spending review delle spese della burocrazia amministrativa – parola che si usava nel 1700 –, e la ristrutturazione delle spese delle Regioni), riguarda l’aspetto socio-economico: la distribuzione del reddito , un’ equa redistribuzione del reddito.

Nel corso degli ultimi 20 anni si è verificato un processo di concentrazione della ricchezza e del reddito che ha aumentato le diseguaglianze economiche.

Nei paesi dell’area euro c’è chi sostiene, come il nostro Presidente della BCE Mario Draghi, “che abbiamo bisogno, per una vera ripresa, di una più equa partecipazione ai frutti della produzione della ricchezza nazionale”.

Così facendo si può contribuire a diffondere la cultura del risparmio e dunque della compartecipazione. Abbiamo bisogno di puntare sulla coesione sociale innanzitutto , rimuovendo le barriere che limitano le opportunità delle persone di perseguire i loro progetti da cui i loro percorsi di vita dipendono.

La diminuzione della quota del reddito del lavoro dipendente a favore dei redditi da capitale e rendite finanziarie è parte del fenomeno della concentrazione del reddito che penalizza i più deboli, sintetizzandosi nell’aumento del divario tra le retribuzioni più basse e più alte. Nel 2003, tenendo conto di componenti salariali accessorie,quali le stock option e i bonus azionari ,i top manager guadagnavano circa 370 volte di più di un impiegato di medio livello. Nel 2007, questo divario era salito a 521 volte(soprattutto negli USA).

Siamo oramai certi che la stagnazione dei salari medi ha contribuito alla genesi della Crisi Finanziaria del 2008.

Inoltre, considerando che la distribuzione della ricchezza comprende oltre al reddito anche i patrimoni finanziari ed immobiliari (come ad esempio la casa di proprietà), emerge un livello di diseguaglianza ancora maggiore, dannoso per la crescita in relazione alla differente produttività delle persone. E’ questo quello che è avvenuto negli ultimi anni.

Se pensiamo che a metà degli anni 90 bastavano 2 stipendi pieni, anche se di medio livello, per assicurare a una famiglia della “piccola borghesia” un moderato benessere, ci rendiamo subito conto del processo involutivo, anche sotto il profilo socio- culturale, che si è innescato. Dopo il 1995, nei grafici che rappresentavano i dati economici, la linea retta del PIL (prodotto interno lordo, il produrre reddito/ricchezza)ha continuato a crescere fino a tutto il 2008 ; parallelamente l’altra retta che rappresentava gli stipendi (dei dipendenti) si è completamente fermata provocando la “stagnazione della busta paga”.

La distribuzione del reddito è dipendente dalle condizioni del sistema economico. Un sistema dove vi sia equità sociale, come dovrebbe essere il nostro in base ai dettami della Costituzione (art. 3, 4 e 53) , si attua attraverso un livellamento delle retribuzioni dei cittadini in base al contributo specifico che ognuno apporta alla produzione e alla società. Uno stato deve poter offrire beni e servizi a individui diversi che pagheranno prezzi diversi per il loro consumo a seconda delle condizioni di reddito.

Dobbiamo riuscire ad avere il coraggio di proporre e attuare politiche fiscali che salvaguardino quella parte della popolazione che ha solo redditi da lavoro e farne base e futuro del nostro sistema economico.

 

 

 

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