di Redazione
25 gennaio 2016
“Può uno sterminio divenire un oggetto di consumo finalizzato al soddisfacimento di bisogni emotivi? E’ possibile commercializzare l’orrore attraverso dinamiche di mercato tipiche delle società di massa?” si chiede Bellei nel suo saggio.
Come è accaduto per altri eventi storici, anche nel caso della Shoah l’industria culturale globale ha contribuito significativamente alla costruzione di molteplici immaginari collettivi, nei quali occupa ormai una posizione di assoluto rilievo, non solo per le innumerevoli opere letterarie, filmiche, teatrali che vi si ispirano, ma anche per la crescente attenzione rivolta ai musei e ai luoghi della memoria.
Ciò ha prodotto due conseguenze: da un lato, lo sterminio degli ebrei è assurto a paradigma del “male assoluto”, dall’altro rischia di trasformarsi sempre più in “merce di consumo”. Il discorso pubblico sulla Shoah si confronta sempre più frequentemente, infatti, con una cultura pop che metabolizza ogni contenuto, riproducendolo all’infinito ma anche svuotandolo di significato, esponendosi a ricostruzioni di circostanza, ma anche a manipolazioni e negazioni. Nel libro viene proposta una riflessione sugli immaginari e sul loro “buon uso” che diventa quindi imprescindibile per cogliere il significato da affidare alle nuove generazioni in relazione alla cognizione di una catastrofe che ha segnato la storia umana e dei suoi riflessi sulla formazione di una coscienza civile. Se tutto può essere Auschwitz, infatti, il rischio è che Auschwitz si riduca a nulla.
MERCOLEDI 27 GENNAIO ORE 18 PRESSO MEDIATECA MONTANARI (SALA IPOGEA)
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