Successo travolgente di “Un’ora di tranquillità”

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24 novembre 2017

PESARO – Da almeno una dozzina d’anni i cugini francesi si stanno imponendo con le commedia brillante. Di più. Abbiano preso spunto da alcuni soggetti di successo sul grande schermo (Giù al nord, Il nome del figlio per citarne un paio) per un adattamento tutto italiano che, in verità, ha poco a che vedere con la nostra vena artistica dell’immediato dopoguerra. Dobbiamo prenderne atto, nulla togliendo alla creatività dei nostri registi che, però, puntano spesso al risultato cassetta propinandoci banali cinepanettoni che in qualche caso ostentano volgarità gratuita e comicità avvilente. Non siamo esterofili, tutt’altro. Anzi, di fronte a successi come Illustri sconosciuti, facciamo orgogliosamente tanto di chapeau.

Una premessa quasi dovuta di fronte a un soggetto intelligentemente umoristico come quello di Florian Zeller “Un’ora di tranquillità”, andato in scena ieri sera al Rossini interpretato e diretto da Massimo Ghini del quale abbiamo apprezzato la naturalezza e la professionalità che, per certi aspetti, era andata sciupata in qualche performance cinematografica commerciale di scarso valore.

LA SINOSSI

Cosa vuol dire il fascino del vinile che ti ammalia col suo imperfetto fruscio! Ecco, il protagonista Michel (Massimo Ghini) vorrebbe bearsi ascoltando un vecchio disco del ’39, rimediato in un mercatino, e ritagliarsi un’oretta di relax. Tutto sommato non una grande pretesa ma…sembrerebbe impossibile. La sua pace viene turbata prima e travolta poi da una serie di familiari, amici e improbabili personaggi che si catapultano nella sua temporanea oasi scaricandogli addosso una miriade di problematiche. La moglie vuole analizzare il loro rapporto, il vicino lamenta che i lavori di ristrutturazione al bagno gli provocano “inondazioni” al piano di sotto e il figlio cerca prepotentemente attenzione. Tutti e tutti assieme. Una sorta di complotto inconsapevole ma reale che impedisce quel legittimo spazio di tranquillità. E la situation commedy prosegue facendo emergere antiche passioni, tradimenti, bugie e quant’altro.

La pièce è più che divertente, ironica, geniale e per nulla scontata. La spettatore ha l’impressione di aver capito tutto quando le carte si rivoltano d’improvviso e allora le certezze diventano drasticamente dubbi e viceversa. Uno spettacolo brillante, spassoso che laurea, casomai ce ne fosse bisogno, una regia attenta e tempi comici sapientemente distribuiti al punto tale che il pubblico non ha mai smesso di divertirsi sottolineando di continuo con risate ininterrotte e scrosci di applausi sia la spontaneità del protagonista sia l’affiatamento di tutto il cast. Il “mestiere” di Galatea Ranzi non smentisce le due nomination Nastri d’argento e altrettanti David di Donatello. Degne di nota la caratterizzazione di Claudio Bigagli nei panni del polacco autentico e quella di Luca Scarpone (Leo, un idraulico polacco tarocco in realtà portoghese). Brilla anche la prova di Alessandro Giuggioli (un figlio pseudoartista anticonformista con problemi di comprendonio). Scontata la bravura di Massimo Ciavarro un amante sui generis. Nell’insieme, rischiamo di ripeterci ma lo facciamo volutamente e volentieri, un lavoro con un ritmo freneticamente giocoso che non cala mai di tono. E’ praticamente la storia di ciascuno di noi alla ricerca se non della felicità quantomeno della tranquillità. Due ore che volano via in un lampo di…comicità mai volgare sullo sfondo di una scenografia ben concepita da Roberto Crea. Eppoi, ciliegina finale, il balletto e con l’uscita in ribalta stile Bollywood. Applausi e ancora applausi. Non a caso il lavoro vanta oltre una settantina di repliche. Un unico rimpianto, quello di non aver ascoltato il disco causa di tutto il guazzabuglio: me, myself and I. Beh, ce ne faremo una ragione.

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