Giù le maschere, la realtà in primo piano nell’Arlecchino servitore di due padroni

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7 dicembre 2018

PESARO – Cosa vuoi che siano un paio di secoli per un autore intramontabile come Carlo Goldoni? E infatti, a cavallo di due millenni, l’Arlecchino servo di due padroni non smette mai di affascinare il pubblico non tanto e non solo perché si tratta di un testo divertente ma perché la pièce ha visto innumerevoli compagnie rapprsentarlo attraverso mille sfaccettature e altrettante interpretazioni. Come dimenticare quella di Favino che, attualizzando e stravolgendo il copione, portò in scena qualche stagione fa (febbraio 2015, ndr.) proprio al Rossini di Pesaro Servo per due padroni? Bene, questa volta è il turno di Valerio Binasco esplorare il testo del mostro sacro e farlo a suo modo in una rivisitazione tutta da godere senza maschere ma soprattutto senza peli sulla lingua. Binasco, oer capirci, l’attore regista che ha collezionato cinque Premi Ubu, due Premi dell’Associazione Nazionale dei Critici di Teatro, un Premio Olimpico del Teatro – ETI e un Premio Linea d’ombra. Quasi non bastasse, nomination ai Nastri d’argento, ai David di Donatello e alle Maschere del Teatro. Ma non è il curriculum a fare da garanzia quanto la poliedricità del celebre cineasta. Ma il personaggio principe della commedia (Arlecchino) è lui Natalino Balasso, autore e attore, che passa dalla ribalta al grande e al piccolo schermo con una naturalezza che gli è propria. Lui l’accattone, l’ttiverente che oggi chiameremmo lo sfigato, che sugli equivoci cerca una sorta di misero riscatto sociale in un’Italia povera ma bella ricca, allora come ora, di mille contraddizioni. Si staglia poi la figura di Pantalone (Michele di Mauro) in perfetta sintonia con il gruppo. Degne di nota le performances di Martini e della Gigliotti, ma la compagnia in toto ha mostrato un affiatamento unico

LA SINOSSI

In poche battute, tutto ha inizio con l’omicidio di un imprenditore di cui la sorella Beatrice (ElisabettaMazzullo) assume l’identità (travestendosi da uomo) per incassare un credito da Pantalone la cui figlia sarebbe andata in sposa alla vittima. Ma la promessa, Clarice (Elena Gogliotti), è innamorata del “ruspante” Silvio (Denis Fasolo). Strada facendo Beatrice assume come servitore Arlecchino, perennemente affamato, il quale a sua volta si fa assumere da un altro padrone, Florindo Gianmaria Martini . E qui inizia a ingarbugliarsi la vicenda, cioè quando Beatrice (nei panni del fratello) si presenta a riscuotere la cambiale e contrarre matrimonio con Clarice, progettando di sfuggire in un secondo momento perché innamorata di Florindo. Arlecchino si incarta in una serie di bugie che si aggrovigliano a spirale creando il pamdemonio, tra delusioni, sfide, pianti e altro ancora. Ma alla fine tutti i pezzi si riodineranno sulla scacchiera della pièce e Arlecchino, nonostante tutto, troverà il suo amore nella cameriera di Pantalone Smeraldina (Marta Cordellazzo Wiel)

Ma torniamo al lavoro, un lavoro (menzione sentita per la scenografia di Guido Fiorato) dove la situation commedy spassosissima diventa spunto di riflessione e la comicità ha un retrogusto amarognolo che non è quello della commedia dell’arte intesa in senso classico piuttosto di una contemporaneità dove a primeggiare sono, denaro a parte, la smania di prestigio, l’orgolio ferito, il tradimento e, perché no, la precarietà. Basti pensare che, in fonfo in fondo, Arlecchino è un doppiolavorista. E vien fatto di chiedersi se oggi avrebbe riempito il modulo per ottenere…il reddito di dignità. Un pensiero fugace ma, sia ovvio, una burla di chi scrive.

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