ROF, anche un sacerdote in sala per L’equivoco stravagante versione gender che fa il pieno di doppi sensi e triple risate

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14 agosto 2019

L'equivoco stravagante

L’equivoco stravagante

PESARO – La forza dilagante – per restare in rima – di un dramma giocoso che ha per titolo L’equivoco stravagante regala l’ennesimo successo al Rossini Opera Festival, che non paga dazio neppure all’abito viola di Moshe Leiser, belga d’Anversa, terra di diamanti, che in coppia con il compagno di sempre, il parigino Patrice Caurier, propone un’opera gender. I due se ne fregano dei colori della quaresima, che faceva chiudere i teatri e per questo è un colore che chi vive di teatro aborre. Epperò, vista la loro storia, le mille produzioni, spesso rossiniane, deludono un po’ “accontentandosi” di una scena – firmata da Christian Fenouillat – che sembra un progetto Ikea, semplice, funzionale, ma statica, oggettivamente triste, da tappezzeria di quart’ordine.

Alla fine sono applausi anche per loro, che sbucando dalla “dispensa” nel seminterrato, come tutti i protagonisti che ricevono l’ovazione del pubblico, durata – cronometro alla mano – 6 minuti e 26 secondi.

Ovazioni meritatissime per il cast vocale, per il direttore Carlo Rizzi, l’Orchestra Sinfonica Nazionale della Rai e il Coro del Teatro Ventidio Basso, sempre più sorprendente, anzi sempre più convincente.

L’effetto giocoso si evidenzia fin dalla prima scena, quando i domestici, i bravissimi Claudia Muschio (Rosalia) e Frontino (Manuel Amati) sono colti a fare sesso spinto. Mancava la battuta all’Alvaro Vitali, ma se pensate che per questa opera Rossini ha rischiato grosso a Bologna, dove la prima rappresentazione è durata solo alcuni giorni. Poi la censura.

Come può un povero Maestro di musica sopra una poesia che non presenta se non idee sconce adattarvi una musica che incanti, che rapisca? Non ostante questo ha saputo in alcuni pezzi distinguersi il Sig. Rossini con molta lode, e cioè nell’Introduzione, nel Quartetto, nel Duetto e nel Finale del primo Atto. Anche nel secondo il Quintetto, il Duetto e l’Aria dell’eccellente Marcolini (la primadonna della compagnia) hanno di belle cose…”, scriveva il Redattore del Reno il 29 ottobre 1911. Rossini era giovanissimo, il libretto l’aveva scritto Gaetano Gasbarri, ed è sembrato troppo spinto ai censori, che magari in camera da letto erano assai più “spudorati”.

Scrive Marco Beghelli nel suo intervento Un’opera per Bologna nel libretto del ROF: Un libretto spudorato, ingegnoso, esilarante.

Reso ancor più esilarante dalle magnifiche prestazioni vocali. Appunto, da Muschio e Amati, soprattutto dal duo Davide Luciano (strepitoso Buralicchio) e Paolo Bordogna, Gamberotto, una carta moschicida da applausi. Sorprendente l’Ermanno di Pavel Kolgatin, a suo agio Teresa Iervolino, anche se rispetto ai collegi è sembrata in difficoltà nei recitativi.

Repliche il 19 e 22 agosto alle ore 20, con la possibilità – viste le premesse odierne: tanti posti liberi in platea, ma, clamorosamente, visto il prezzo (50 euro) anche in galleria – di trovare i biglietti.

Tra il pubblico, notata la presenza di un sacerdote con collarino ecclesiastico bene in vista, e di molti giovani, soprattutto stranieri che ci è stato detto sono in provincia per partecipare ai corsi del Centro Studi di Urbania. Con loro anche Richard Bonynge, direttore d’orchestra australiano, marito della scomparsa Joan Sutherland, soprano, protagonista di un’epoca, applaudita anche nel Teatro Rossini quando venne ad assistere al ROF.

 

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