Rof, la bellezza de Il viaggio a Reims si conferma eterna, ma meriterebbe novità

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16 agosto 2022

_DSC3895-1PESARO – Un applauso al Rossini Opera Festival, a prescindere.
Sì, a prescindere della qualità degli allestimenti, del successo dei protagonisti in palcoscenico, sul podio o nella buca dell’orchestra, il Rof merita un applauso. Lo merita per avere scelto di utilizzare soltanto l’arte delle muse, dal greco μουσική, mousike, evitando la grettezza dei tanti, troppi servi del pensiero unico, che, da veri vigliacchi, hanno scelto di andare alla guerra combattendo gli inermi, gli artisti, incolpati di essere nati in… Russia e Bielorussia.
Pesaro e il Rof, invece, hanno scelto in base alla qualità.
Il risultato è evidente, come ha confermato Il viaggio a Reims.
Altri hanno cancellato dai loro cartelloni pagine sublimi composte anche duecento anni fa, come è accaduto alla Filarmonica di Cardiff che ha eliminato dal programma di un concerto Ouverture 1812 di Pëtr Il’ič Čajkovskij. Il trionfo della stupidità da parte dell’orchestra di un Paese, la Gran Bretagna, che ha rapinato popoli e comunità lontane anni luce dal Tamigi, simbolo del peggiore imperialismo.
In verità anche l’Italia ha fatto la sua parte. Un’università ha censurato una lezione su Dostoevskij. E, peggio ancora, il sindaco Sala ha scelto di interrompere la collaborazione del Teatro alla Scala con Valerij Gergiev, uno dei grandi direttori d’orchestra. Imitato, in questo da altri teatri europei.
La grettezza non ha sfiorato la mente di Ernesto Palacio, sovrintendente, del presidente Daniele Vimini. Bravi!
Altrimenti sarebbe stato conseguente cancellare i contratti, ponendo gli artisti davanti a un’alternativa impossibile da sfuggire.
Abbiamo pensato con orrore a un’eventuale edizione del Viaggio a Reims a Cardiff o a Monaco di Baviera, e magari anche alla Scala. Chissà cosa avrebbero deciso certi fenomeni accorgendosi che all’ombra amena del Giglio d’Or, il Conte di Libenskof, sollecitato dal cerimoniere Barone di Trombonok, deve cantare “Un’aria Russa, ad libitum. Ve ne son delle belle…”.  O che Don Profondo canta con accento russo “Notizia tipografica di tutta la Siberia…”
I servitori si sarebbero opposti, ignari che il Conte canta un inno che non appartiene ai nostri giorni. Come le pagine di Dostoevskij. Appunto. Ma la stupidità fa male come la spada. Talvolta addirittura di più.
Dunque, un applauso prima ancora di accedere al Teatro Rossini e assistere alle due rappresentazioni della cantata scenica.
Nel tempio rossiniano, Il viaggio a Reims ha vissuto un sabato felice, facendo dimenticare agli spettatori il temporale improvviso che ha imposto di restare in teatro durante l’intervallo perché fuori  c’era il   diluvio.
Meglio così, ha commentato qualcuno: la pioggia ha tenuta lontana anche una pattuglia della polizia municipale che  prima delle ore 11, orario di inizio de Il viaggio a Reims, stava facendo contravvenzioni attorno al Teatro Rossini.
La bellezza della musica del Cigno ha cancellato anche il contrattempo. E si è rimasti volentieri in platea o nei palchi.
Onestamente, però, la recita di Ferragosto è stata meno felice.

Corinna

Mariia Smirnova (13 agosto). Il soprano russo è risultata una delle voci più apprezzate nel Concerto finale dell’Accademia Rossiniana. Si è confermata esecutrice raffinata e ha mostrato una peculiarità comunque importante per un’artista: una presenza notevole. Però, in tutta sincerità, dopo averla ascoltata nel brano del Tancredi “No, che il morir non è”, ci si aspettava di più, sia nella esecuzione di Arpa gentil, che fida sia di All’ombra amena  del Giglio d’Or, una delle parti più ricche della cantata. In sintesi, è sembrata dotata di grande preparazione, di tecnica e controllo, ma rigida, fredda, quasi priva di sentimenti. Ed è un peccato, pure riconoscendole, appunto, notevoli qualità, peraltro mostrate nel duetto con il Cavalier Belfiore.
Irene Celle (15 agosto). Il soprano genovese era piaciuta nel concerto finale dell’Accademia, ma all’impatto con Arpa gentil, che fida è sembrata tesa, emozionata. Sicuramente più dolce della collega russa, ma meno sicura, meno padrona del ruolo. Meglio, decisamente, nel duetto con il Cavalier Belfiore, ma ancora  poco Corinna nell’esecuzione di All’ombra amena del Giglio d’Or. Però ha evidenziato qualità che dovrebbero consentirle una bella carriera.

Marchesa Melibea

Paola Leguizamón (13 agosto). Ha a disposizione il duetto   con Libenskof “D’alma celeste, oh Dio!” che apre la seconda parte, ma anche l’inno nel finale Ai prodi guerrieri. Il mezzosoprano colombiano, che non ci aveva entusiasmato nel concerto finale quando cantò “Nacqui all’affanno, e al pianto” da La Cenerentola, esegue entrambi con successo, premiata dagli applausi del pubblico anche a Ferragosto, quando interpreta Maddalena.
Anush Martirosyan (15 agosto). Il mezzosoprano armeno, che nel concerto finale era stata un’improbabile Rosina nella Cavatina “Una voce poco fa” da Il barbiere di Siviglia, ha dimostrato, come gli altri colleghi, di essere cresciuta nelle settimane trascorse a Pesaro. La sua interpretazione di “D’alma celeste, oh Dio!” è stata convincente, dando spessore al ruolo di Melibea e quindi arricchendo i contenuti del duetto con Libenskof. Il 13 agosto è stata  Maddalena.

Contessa di Folleville

Aitana Sanz (13 agosto). Il soprano spagnolo il 18 luglio aveva cantato “Vorrei spiegarti il giubilo”, Aria di Fanny da La cambiale di matrimonio, facendo intravvedere qualità degne di dare voce alla Contessa di Folleville. Piace moltissimo al pubblico, che le concede la prima ovazione della mattinata al termine dell’Aria “Partir, oh ciel! Desio”. Sembra nata per interpretare la parte: capricciosa, vezzosa, svenevole, leziosa. Insomma, Folleville, ma anche brava Modestina due giorni dopo. Enhorabuena.
Inés Lorans (15 agosto). Onestamente, dopo il concerto dell’Accademia, quando il soprano franco-spagnolo aveva cantato l’aria di Berenice “Voi la sposa pretendete” da L’occasione fa il ladro, eravamo assai curiosi di ascoltarla in un ruolo che è nella storia del Festival Giovane e ancor più in quella del Rof. Invece l’abbiamo trovata  quasi estranea. I suoi acuti urlati non rendono onore alla Contessa di Folleville. E neppure a Modestina, interpretata due giorni prima.

Madama Cortese 

Maria Kokareva (13 agosto). Il soprano russo ci aveva entusiasmato nel concerto finale dell’Accademia, quando aveva cantato l’Aria di Fiorilla “Squallida veste, e bruna”. Il suo impatto con “Di vaghi raggi adorno, in ciel risplende il sole” è sembrato adeguarsi alle condizioni climatiche esterne. Forse l’emozione di aprire, nei fatti, la cantata scenica? Per fortuna si è ripresa, confermando le qualità evidenziate lo scorso 18 luglio. Brava, e applaudita, nel ruolo di Delia a Ferragosto.
Lyaila Alamanova (15 agosto). Il soprano kazako dovrebbe respirare con affetto l’aria di Pesaro visti i rapporti tra l’indimenticabile maestro Mario Melani e le cantanti del suo Paese, a incominciare da Dariga Nazarbaeva, figlia dell’ex dittatore, ma soprattutto grande appassionata di canto. Non a caso Layla Alamanova era stata fra le più applaudite nel concerto dell’Accademia, cantando l’Aria di Giulia “Il mio ben sospiro e chiamo” da La scala di seta. Si è ripetuta a Ferragosto, pure avendo iniziato, come Maria Kokareva, con grande difficoltà. È migliorata così tanto da meritare convinti applausi a fine cantata. Come due giorni prima cantando Delia.

Cavalier Belfiore

Tianxuefei Sun (13 agosto). Una delle belle sorprese da “circoletto rosso”, avevamo scritto recensendo l’impegno del tenore cinese nell’Aria di Gerundio “Non soffrirò l’offesa” da Armida, un compito difficile. Si è confermato con grande merito, assoluto protagonista nel duetto Corinna e Cavaliere “Nel suo divin sembiante”. Bella voce, dolce, eccellente pronuncia, ottima presenza, capacità attoriali. Sperando che il traduttore Google non tradisca, non possiamo che commentare Hǎo háizi, bravo! A Ferragosto ha dato voce a Don Luigino.
Victor Jimenéz (15 agosto). Cantando la Cavatina di Bertrando “Qual tenero diletto” da L’inganno felice nel concerto conclusivo dell’Accademia, non aveva catturato più di tanto la nostra attenzione. Al contrario, si è disimpegnato molto bene la mattina di Ferragosto, partecipando proficuamente al duetto con Corinna. Anzi, dando risalto al ruolo del Cavalier Belfiore. Due giorni prima era stato Don Luigino.

Conte di Libenskof

Dave Monaco (13 agosto). La musica leggera ha perso un possibile protagonista, come conferma la partecipazione alle Nuove Proposte del Festival di Sanremo. Meglio così. La lirica trarrà giovamento dalla voce, bella, decisa, autorevole e autoritaria del tenore italiano. È piaciuto molto nel duetto con Melibea e negli inni finali. Nella replica di Ferragosto è stato Zefirino/Gelsomino.
Valerio Borgioni (15 agosto). Assente nel concerto del 18 luglio, il tenore italiano ha avuto solo due opportunità per presentarsi al grande pubblico del Rof. Il 13, da Zefirino/Gelsomino, ha avuto poco spazio. Si è rifatto a Ferragosto, risultando fra i più apprezzati, grazie a una voce calda, potente, talvolta anche troppo, ma il ruolo lo merita. E Borgioni non si è lasciato intimidire.

Lord Sidney

Lluís Calvet i Pey (13 agosto). Il baritono catalano è una bellissima sorpresa dell’edizione 2022. L’avevamo applaudito già nel concerto dell’Accademia, quando aveva avuto l’onere di aprire la serata, impegno mai facile. Eppure era stato un eccellente Slook nella Cavatina, “Grazie… grazie… troppo presto”, da La cambiale di matrimonio. Ancor più convincente la sua interpretazione di Lord Sidney, uno degli assoluti protagonisti della storia del Festival grazie all’indimenticabile Samuel Ramey, tanto da scatenare gli applausi convinti del pubblico cosmopolita. Nella replica doveva essere Antonio, ma non ha partecipato alla recita di Ferragosto.
Georgy Ekimov (15 agosto). Abbiamo apprezzato il basso russo giù dal concetto finale dell’Accademia Rossiniana, quando aveva interpretato “Già d’insolito ardore”, Aria di Mustafà da L’italiana in Algeri. Ci è piaciuto anche nel Viaggio a Reims, dando a Lord Sidney uno spessore da basso, con la bella voce profonda.

Don Profondo

Matteo Guerzé. Il trionfatore dell’edizione 2022 è un predestinato, già all’anagrafe: è nato a Modena. E ha iniziato a cantare nel Coro Voci Bianche del Teatro Comunale Luciano Pavarotti di Modena. Sei anni intensi,  dal 2006 al 2012, per il venticinquenne, che ha esordito come solista a 10 anni, cantando il Pastorello nella Tosca.  Una bella voce, quella del baritono, ma anche tanta voglia di studiare, come conferma la laurea conseguita con il massimo dei voti e la lode al termine del triennio dell’Alta Formazione Musicale al Conservatorio Boito di Parma. Era piaciuto molto già nel concerto finale dell’Accademia Rossiniana “Alberto Zedda”, interpretando da par suo l’Aria di Parmenione “Che sorte, che accidente” da L’occasione fa il ladro. Noi l’avevamo raccontato così: Ha evidenziato straordinarie qualità vocali e interpretative, risultando fra i più applauditi. Ha fatto meglio nelle due recite de Il viaggio a Reims, avendo potuto contare, unico di tutta la compagnia, sulla coincidenza favorevole che gli ha consentito di essere Don Profondo sia il 13 sia il 15 agosto.  Nella seconda rappresentazione doveva essere Don Prudenzio, affidato invece a Janusz Nosek. Un’interpretazione raimondiana, la sua. Guerzé ha fatto riferimento a Ruggero Raimondi, il vero, inimitabile Don Profondo della storia del Rof. Copiare non è mai un errore, se si copia il migliore. Guerzé ha mostrato voce sicura, ottima tecnica, eccellente capacità interpretativa, premiata – soprattutto il 13 agosto – dagli applausi del pubblico, prima al termine dell’Aria Medaglie incomparabili, poi a fine cantata.

Barone di Trombonok

Janusz Nosek (13 agosto). Il 18 luglio, cantando l’Aria di Geronio da Il Turco in Italia, il baritono polacco era sembrato prontissimo per il ruolo del Barone di Trombonok, l’ufficiale tedesco che va matto per la musica. La voce, possente, e il fisico del ruolo (un po’ meno quando salta sulla sedia per cantare Das Lied der Deutschen, il canto dei tedeschi),  ne fanno un perfetto Barone.
Stefan Astakhov (15 agosto). Invertendo il ruolo con il collega polacco, il baritono tedesco con cognome slavo ha dato altrettanta sostanza al ruolo del Barone. Astakhov era piaciuto già il 18 luglio, cantando la Cavatina di Figaro “Largo al factotum” da Il barbiere di Siviglia. Si è confermato la mattina di Ferragosto, dopo essere stato un apprezzato Don Alvaro.

Don Alvaro

Stefan Astakhov (13 agosto). Vale il giudizio già espresso sul ruolo di Barone di Trombonok.
David Roy (15 agosto). Il baritono polacco, che era piaciuto nell’esecuzione della Cavatina di Dandini “Come un’ape ne’ giorni d’aprile” da La Cenerentola, non ha avuto spazio particolare se non quello di insidiare la compiaciuta Marchesa Melibea, scatenando la gelosia di Libenskof. Nei fatti, l’unica opportunità gli è concessa cantando la canzone spagnola.  Ma come gli altri ha partecipato con attenzione ai momenti corali.

Don Prudenzio

Georgy Ekimov (13 agosto). Benché grazie al suo talento, abbia a disposizione solo la scena seconda e soprattutto la scena sesta, riesce a conquistare il palcoscenico. Ripagato dagli applausi.
Janusz Nosek (15 agosto). Per il polacco applausi anche a Ferragosto, quando dà voce all’improbabile Don Prudenzio, il medico che non ne azzecca una.

Antonio

Mariano Orozco (13 e 15 agosto).  Che dire del basso-baritono italiano? Che è stato sfortunato. Nel concerto finale dell’Accademia Rossiniana aveva interpretato con trasporto l’Aria di Basilio “La calunnia è un venticello” da Il barbiere di Siviglia. C’erano quindi tutte le premesse per applaudirlo anche ne Il viaggio a Reims, dove era nel cartellone della recita di Ferragosto nel ruolo di Don Profondo. La rinuncia forzata di Lluís Calvet i Pey gli ha tolto la soddisfazione di presentarsi e farsi conoscere al pubblico del Rossini Opera Festival. Siamo sostenitori da sempre che Gaetano Donizetti ebbe ragione a  musicare il libretto di Domenico Gilardoni Le convenienze ed inconvenienze teatrali. Pertanto auguriamo di cuore a Mariano Orozco di rivederlo a Pesaro, al Rof.
Anche quest’anno è stato un piacere ascoltare la Filarmonica Gioachino Rossini diretta da Daniel Carter, che ha dato una lettura convincente, talvolta anche vivace, della cantata scenica, mai invadendo il campo delle voci. Con i tempi che corrono, è un grande merito.
Un applauso particolare a Susanna Bertuccioli, che con l’arpa ha accompagnato le due Corinna, assistendole con la dolcezza del suono e la certezza delle note.
Infine una nota sullo storico allestimento firmato da Emilio Sagi con la ripresa di Matteo Anselmi. L’abbiamo scritto in sede di presentazione, lo ribadiamo dopo avere assistito alle due rappresentazioni: lo spettacolo merita novità. Altrimenti rischia di diventare stantio, come l’attesa per il recupero del PalaFestival che durerà – ammesso e non concesso accadrà davvero – quanto meno diciotto anni.
A proposito di meriti: va ribadito ancora una volta quello della Fondazione Meuccia Severi che ha voluto legare il proprio nome all’Accademia Rossiniana “Alberto Zedda”. Un connubio pesarese nel nome del più grande pesarese della storia: Gioachino Rossini. E di un pesarese acquisto, per meriti e onori: Alberto Zedda.

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